Speciale potatura
«Potatura soffice» in allevamento e in produzione
Recentemente una ricerca svizzera ha accertato la qualità migliore nei vini prodotti da viti di 40-50 anni rispetto a piante di 7-8 anni, soprattutto in vitigni a bacca rossa, in virtù del maggior equilibrio che manifestano, che consente loro di tollerare meglio gli effetti del cambiamento climatico e in particolare la mancanza prolungata di acqua. Quindi porsi l’obiettivo – come se lo sono posti i due agronomi friulani Marco Simonit e Pierpaolo Sirch – di aiutare la vite a invecchiare bene è quanto mai meritorio, oltre che necessario. Marco Simonit e Pierpaolo Sirch, infatti, hanno messo a punto un metodo di potatura proprio con questo scopo: gestire la vite con potature sempre su legno giovane per portarla a una felice vecchiaia. Sono stato testimone dell’evoluzione di questo lavoro in quanto, ancora dieci anni fa, mi chiamarono in Friuli per farmi vedere i vigneti sui quali stavano applicando la loro intuizione. Iniziai subito le mie osservazioni e in breve mi convinsi che poteva essere molto interessante per il futuro della nostra viticoltura. Così iniziai a far conoscere ai vignaioli italiani il loro metodo innovativo, che si ispirava all’alberello. Prendendo due esempi, apparentemente molto distanti, gli alberelli del Sulcis e le alberate di Taurasi, si nota che in ambedue i casi la potatura esclude tagli sul fusto o comunque sul legno di più anni ed è invece realizzata solo su tralci di due anni. Nell’alberello questo taglio è fatto sullo sperone, nell’alberata avellinese su un tralcio a ricadere, di più anni, portato da un cordone alto permanente. Con queste modalità di potatura, che possono essere applicate a qualsiasi forma d’allevamento, si ottengono alcuni risultati importanti per la vitalità della pianta. Poiché la vite non ha la possibilità di produrre un callo cicatriziale sulle grandi ferite, mentre può farlo su tagli con tessuti più giovani, queste lesioni non solo sono una via d’accesso per i funghi responsabili del mal dell’esca e dell’eutipiosi, ma provocano la morte progressiva di parti importanti di fusto, riducendone l’efficienza nel trasporto dei soluti e metaboliti. Spesso la presenza di questi tratti di tessuto morto non è avvertita dall’esterno e la morte improvvisa di qualche pianta durante il periodo più siccitoso dell’estate è interpretata come un fatto normale e imprevedibile.
Le ragioni della longevità
Un fatto è certo: di fronte a una vite di 80-100 anni si rimane sempre un po’sorpresi e pieni di ammirazione. È un incontro peraltro sempre più raro nella viticoltura europea, mentre è più facile avere la fortuna di trovare viti molto vecchie, talvolta di oltre 150 anni, nel vicino Oriente o nelle zone della viticoltura più antica dell’Australia. Nella viticoltura prefillosserica si ricordano numerosi esempi di piante che avevano anche 300- 400 anni (445 anni per una vite presente nel Novarese, citata attorno agli anni Venti, o la parte alta del vigneto di Clos de Vougeot in Borgogna dove le viti ai tempi della Rivoluzione francese avevano 400-500 anni). Ancora oggi si ricorda una vite presente nel Collegio dei Gesuiti a Reims (F) che ha più di 300 anni e produce 30 kg di uva da cui si ricava un vino per la Messa, o la vite di Versoaln, un vitigno ormai scomparso, presente in Alto Adige a Prissiano, di oltre 350 anni. In Campania sulla Costiera amalfi tana e in Irpinia non è difficile incontrare ceppi, rispettivamente di Tintore, Aglianico o Sirica, di età superiore ai 250 anni. Viene spontaneo chiedersi da dove deriva questa longevità e siamo istintivamente portati a fare un paragone con gli uomini che vivono 90-100 anni e li portano bene. Non è possibile dare una risposta univoca: per gli uomini dipende dal patrimonio genetico, dal regime dietetico, dallo stile di vita, dalla vita affettiva, dal modo con il quale affrontano le difficoltà psicologiche. Per la vite, oltre alle condizioni particolari dello sviluppo radicale, che deve essere molto esteso, la mancanza dell’innesto ha un ruolo certamente significativo assieme all’equilibrio vegeto-produttivo che quella pianta ha avuto nel corso della sua vita e che le ha consentito di reagire senza conseguenze agli stati di stress come periodi di siccità,di asfissia radicale, di carenze alimentari. Come per l’uomo questa longevità non è frutto del caso, ma è il risultato di precise scelte operate dal viticoltore. Da un sommario censimento dei luoghi dove in Italia si possono incontrare queste viti, si rileva che il comune denominatore che lega le diverse espressioni di quelle viticolture è rappresentato dalle modalità della potatura secca. La longevità della vite migliora se in potatura secca si escludono tagli al fusto e si interviene solo su tralci di due anni
Un aiuto alla viticoltura del futuro
Perché è importante salvaguardare l’integrità e la vitalità dei vigneti antichi? Non solo per la qualità dei vini che producono o per il fascino paesaggistico - culturale che emanano attorno a sé, ma perché rappresentano una importante riserva di geni da utilizzare nella creazione di nuovi cloni, probabilmente più tolleranti alle malattie e alle virosi di altri. È verosimile che queste piante abbiano nella loro memoria genetica, correlati alla trasmissione del codice epigenetico – cioè del codice che regola i geni attraverso processi biochimici, senza modifi care le sequenze del DNA nel corso delle generazioni, consentendo così l’espressione dei geni in modo regolare, senza mutazioni che di norma alterano i comportamenti delle piante, sia in senso positivo che negativo – elementi interessanti. Senza dimenticare che i vigneti dove sono presenti questi patriarchi della viticoltura contengono un’elevata variabilità non solo intravarietale, ma rappresentata anche da altri vitigni, spesso vere rarità, in quanto nel passato la consuetudine era di creare vigneti plurivarietali. Come è facile comprendere, queste viti sono un materiale biologico dalla vita effimera, che improvvisamente possono morire. Per evitare di perdere il loro valore genetico sarebbe opportuno censire tutti questi patriarchi, redigendo una scheda descrittiva e allegando un profilo del DNA. Con la collaborazione dei viticoltori, che divengono i custodi di queste viti, si interviene con tecniche di potatura appropriata alla conservazione della pianta e si provvede a raccogliere in una collezione exsitu le viti derivate per valutarne sia gli aspetti genetici che produttivi. Questo progetto è stato avviato da qualche anno, con la collaborazione di alcune importanti aziende vitivinicole italiane, dal Dipartimento di produzioni vegetali dell’Università di Milano. In particolare nell’ambito di un progetto finanziato dalla Feudi di S. Gregorio di Sorbo Serpico (AV) sono stati identificati e descritti numerosi ceppi di Aglianico e di altri vitigni campani di età superiore ai 200 anni. In Sardegna, grazie a un progetto denominato AKeA («a kent’annos», a cent’anni in sardo), si sta valutando negli uomini ultracentenari il rapporto tra i geni e l’espressione di alcune proteine che sono presenti solo nelle persone molto anziane. Ancora una volta vite e uomo sono segnati da un comune destino.
«Potatura soffice» contro il deperimento dei vigneti
• Osservando i principi di potatura dei vecchi viticoltori in vigneti longevi, è stato messo a punto il metodo Simonit&Sirch – Preparatori d’uva. La salvaguardia della struttura fisica della vite garantisce una continuità vascolare che ne influenza positivamente l’equilibrio e, quindi, la qualità della produzione •
Negli ultimi trent’anni in viticoltura si è verificato un cambiamento fondamentale per quanto riguarda le forme di allevamento. In tutta Italia, seppur con dinamiche diverse, si è passati dalle forme tradizionali utilizzando i pali in castagno, più o meno espanse, alle forme a controspalliera. Sempre più frequentemente i vigneti sono stati convertiti a Guyot o a cordone speronato. Queste due forme permettono l’infittimento dei vigneti ricercato per ridurre la produzione media per pianta e ottenere miglioramenti qualitativi. In alcuni casi l’omologazione dei sistemi viticoli ha portato anche a sensibili modifiche del paesaggio semplificandolo e riducendo quella diversità che dovrebbe caratterizzare un particolare territorio. In Friuli, ad esempio, il Tocai friulano e il Refosco, che tradizionalmente sono stati allevati a doppio capovolto sono passati alla potatura a Guyot; lo stesso passaggio ha subito il Sangiovese in Toscana, che da capovolto è passato a cordone speronato. In Trentino la tradizionale pergola trentina è stata in parte sostituita con il Guyot. Lo stesso passaggio è avvenuto in Campania per le tennecchie, in Sicilia e in Puglia, dove i tendoni e gli alberelli sono stati sostituiti con le due forme di allevamento a controspalliera. Anche in Veneto pergole, Sylvoz e Casarsa spesso sono stati convertiti in Guyot o cordoni speronati. Nelle tradizionali forme a controspalliera, ad esempio i capovolti, la distanza tra i ceppi era di almeno 1,0-1,2 m; i nuovi Guyot invece hanno distanze tra i ceppi che variano mediamente da 0,7 a 0,9 m e difficilmente superano il metro. Un unico modello viticolo dunque si è consolidato in tutto il territorio nazionale. Questo sistema a «geometrie fisse» ha amplificato i problemi legati all’acrotonia della vite. Se le tradizionali forme espanse permettevano lo sviluppo di branche che si allontanavano dal fusto poiché la singola pianta aveva un certo spazio disponibile per il suo sviluppo, passando a sesti d’impianto molto fitti questa libertà di fatto si è molto ridotta. A distanza di 30 anni dall’introduzione di queste forme appaiono evidenti ormai in tutto il territorio nazionale i problemi legati al contenimento dell’acrotonia della vite.
La vite è una liana
In natura, la vite si può sviluppare anche per diversi metri proprio per la sua caratteristica di essere una pianta acrotona, che predilige cioè il germogliamento delle gemme distali (cioè più lontane rispetto all’inserzione del tralcio sul tronco) rispetto a quelle prossimali. Senza la potatura, quindi, la vegetazione si allontana rapidamente dalla base del tronco. Il vigneto è attualmente molto antropizzato, cioè condizionato fortemente nella crescita dai numerosi interventi dell’uomo. La potatura invernale è l’atto tecnico più mutilante che subisce la vite. Da pianta perenne con comportamento di liana la vite diventa un arbusto dal volume limitato e prederminato nelle forme e nello spazio dalla distanza d’impianto, dal modo di conduzione e dal tipo di potatura. Questo vincolo geometrico obbliga il viticoltore a sopprimere ogni anno la maggior parte del legno prodotto. Quale arboricoltore oggi taglierebbe più dell’80-90% del legno dell’annata su un melo o un pero per contenerne lo sviluppo senza provocare di riflesso un ritorno di vigore vegetativo? Gli alberi – lo sanno bene i potatori di piante da frutto e forestali – hanno sempre la tendenza a riformare ciò che è stato loro tolto con interventi esterni. Questo principio è spesso utilizzato per ridare vigore ad alberi indeboliti praticando la capitozzatura. Nel caso della vite, la potatura invernale – atto tecnico mutilante – si ripete ogni anno. I tagli frequenti e sistematici dei rami in prossimità del tronco e dei punti vegetativi costringono la vite ad adattarsi continuamente con una nuova organizzazione della circolazione della linfa: i tragitti sono modificati e sollecitati differentemente da un anno all’altro.
Fisiologia e salute della vite
La vite come tutti gli esseri viventi invecchia. Questo invecchiamento può essere normale, fisiologico e quindi dettato dal trascorrere del tempo o accelerato qualora, oltre al tempo, intervengano anche delle cause esterne, per citarne alcune: attacchi patogeni irreversibili, viros particolarmente gravi, periodi di stress più o meno prolungati, inefficienze a livello fisiologico, potature indiscriminate o altro ancora. Spesso, osservando dall’esterno una vite che non mostra sintomi particolari, si dice che «è sana». In realtà le osservazioni circa lo stato esterno della pianta ci danno un’idea parziale della sua «salute» generale. Attraverso un’osservazione dello stato esterno del legno, per esempio, non possiamo fare una valutazione sull’integrità del sistema vascolare di trasporto. Le tre piante nella, per esempio, sono coetanee, della stessa varietà e dello stesso vigneto potato a Guyot. In vigneto risultavano produttive ed esternamente diverse per forma ma simili per aspetto, non mostrando alcun sintomo particolare di malattia. Una volta eseguita la sezione longitudinale dei fusti è apparso evidente il diverso «stato di salute» tra le tre viti. In due di queste piante la porzione di legno sano interessato dal sistema di trasporto è ridotta in maniera considerevole. La stessa osservazione si può fare sulle piante di diversa età allevate a cordone speronato : esteriormente tutte e tre sembrano «sane», mentre all’interno due di esse presentano necrosi in corrispondenza degli speroni e una drastica riduzione del sistema vascolare. Queste osservazioni confermano quanto riportato ampiamente in letteratura circa le cause principali di questo deperimento interno, che sono da ascrivere alle piaghe da taglio che compromettono l’efficienza del sistema conduttore. Dopo l’eliminazione di un tralcio, i vasi che lo alimentano diventano inutilizzabili e si seccano formando un cono di disseccamento che si estende nel legno vivo. Tanto più i tagli sono di grossa dimensione ed eseguiti su legno vecchio, tanto più i disseccamenti si espandono rapidamente e si approfondiscono nel legno. L’entità del disseccamento interno in corrispondenza di un taglio e il cono di disseccamento risultano direttamente proporzionali alla dimensione del taglio stesso. Se nel corso degli anni vengono eseguiti numerosi tagli di potatura, la vite risponde con l’abbandono naturale di una buona parte di fusto. Le piaghe si concentrano sulla testa del tronco e il tragitto della linfa si modifica rapidamente a causa della convergenza dei coni di disseccamento. L’efficienza del sistema di trasporto, in queste condizioni, risulta compromessa. Per avere un sistema conduttore efficiente bisogna costruire una canalizzazione interna senza interruzioni dovute ai coni di disseccamento. È importante non fare tagli di grossa dimensione operando con tagli piccoli su legno giovane di 1 o 2 anni di età. Questo accrescimento lineare è proprio dell’alberello in cui si pota sempre sulla sommità delle branche che portano gli speroni. Un sistema di trasporto efficiente si manifesta esteriormente in termini di equilibrio della pianta. L’espressione vegetoproduttiva di una pianta con il sistema di trasporto integro è più uniforme di quella di una pianta che ha una conduzione compromessa. Questa omogeneità è riconoscibile su germogliamento, fertilità, fasi fenologiche, maturazione, lignificazione. Si tratta di quell’equilibrio della pianta, e più in generale del vigneto fatto con i pali di castagno, da sempre ricercato come garanzia per una produzione di qualità.
Alla luce di queste osservazioni, la potatura
– operazione agronomica fondamentale
– si configura come una pratica «delicata» vista l’entità dei danni che può provocare alla pianta se eseguita in modo errato.
Genesi del metodo
Compreso quanto sia fondamentale eseguire correttamente la potatura invernale, il passo successivo è stato quello di cercare i vigneti più longevi e osservare i principi di potatura che si adottavano. In questo percorso abbiamo visitato un’infinità di vigneti europei e ci siamo confrontati con i potatori più anziani, analizzando accuratamente il loro modo di potare e lo stato di salute delle loro piante. Abbiamo così potuto constatare che le vigne più longeve erano quelle allevate ad alberello nella sua forma più classica. Il sistema di coltivazione ad alberello è particolarmente longevo perché si pota sempre su legno giovane, fino ai 2 anni di età e si sviluppa creando diramazioni del fusto principale, non venendo mai eliminate porzioni vecchie e vitali della pianta. Tale sistema non ha costrizioni di spazio e può crescere liberamente nelle tre dimensioni. La maggiore difficoltà delle nostre ricerche è stata quella di trasferire le tecniche di taglio dell’alberello nella moderna viticoltura, rappresentata – come detto – in particolare dai più intensivi sistemi di coltivazione a spalliera, come il Guyot e il cordone speronato. Questo percorso – durato oltre vent’anni spesi a osservare, provare e lavorare confrontandoci con i vecchi potatori – ci ha portato a scoprire che il loro approcciotivazione ad alberello è particolarmente longevo perché si pota sempre su legno giovane, fino ai 2 anni di età e si sviluppa creando diramazioni del fusto principale, non venendo mai eliminate porzioni vecchie e vitali della pianta. Tale sistema non ha costrizioni di spazio e può crescere liberamente nelle tre dimensioni. La maggiore difficoltà delle nostre ricerche è stata quella di trasferire le tecniche di taglio dell’alberello nella moderna viticoltura, rappresentata – come detto – in particolare dai più intensivi sistemi di coltivazione a spalliera, come il Guyot e il cordone speronato. Questo percorso – durato oltre vent’anni spesi a osservare, provare e lavorare confrontandoci con i vecchi potatori – ci ha portato a scoprire che il loro approccio – in particolare dai più intensivi sistemi di coltivazione a spalliera, come il Guyot e il cordone speronato. Questo percorso – durato oltre vent’anni spesi a osservare, provare e lavorare era sostanzialmente diverso da quello adottato e divulgato in Italia. L’approccio corretto in potatura invernale mette al centro la salvaguardia della struttura fisica della vite. In primo luogo si dovrà cercare di diminuire il numero delle ferite di potatura. In secondo luogo, evitando di eseguire tagli grossi e potando solo i tralci giovani, si raggiungeranno gli obiettivi di riduzione delle superfici di taglio e di costruzione della canalizzazione continua dei vasi di trasporto. Le ferite di piccole dimensioni, in particolare quelle a carico del legno di uno o due anni, possono essere assorbite dall’accrescimento del legno. Ciò si ottiene più facilmente eseguendo un taglio «pulito», che non asporti le gemme della corona localizzate alla base del legno di uno e di due anni di età. Si tratta, inoltre, di attenzioni e di pratiche che potrebbero limitare l’ingresso di funghi patogeni nelle ferite e quindi favorire il mantenimento dell’integrità fisica del legno all’interno del fusto. confrontandoci con i vecchi potatori – ci ha portato a scoprire che il loro approccio. La rara presenza di vigneti vecchi in Italia è – a nostro parere – imputabile anche alla scarsa conoscenza attuale delle tecniche di potatura che, peraltro, non vengono più insegnate. Alla fine siamo arrivati alla conclusione che si dovesse ricercare una nuova maniera di gestire la pianta, che permetta di mantenerne integra la struttura permanente. È nato così il metodo Simonit&Sirch - Preparatori d’uva di «potatura soffice», che viene illustrato nell’articolo successivo.
Un aiuto nella lotta al mal dell’esca?
È noto che quasi tutte le malattie del legno della vite, inclusa l’esca, sono causate da funghi che trovano la loro principale via di ingresso nelle ferite, in particolare in quelle di potatura. Nel caso dell’eutipiosi sono stati valutati i tempi in cui le ferite restano suscettibili alle infezioni; in quello dell’esca si è indagato sullo stesso argomento e anche sui momenti in cui le probabilità di infezione sono più elevate per la maggiore presenza (sulla pianta, nell’aria) dei propaguli degli agenti fungini. Con queste informazioni, gestite sapientemente, è possibile tentare una qualche forma di contenimento della malattia. Ma non basta: per la prevenzione dell’esca – la lotta contro la malattia in atto è al momento impraticabile – servono anche altri e più decisi interventi.Uno di questi potrebbe essere quello della «potatura soffice» che, grazie alle piccola dimensione delle ferite – che pure possono rimanere pervie all’infezione anche per diversi mesi – riduce la probabilità di ingresso dei funghi dell’esca. Se poi se si evitano i tagli di ritorno – quelli più aggressivi per il sistema vascolare – si riducono ulteriormente le possibilità di infezione. Il rispetto e il mantenimento di una «fluidità» nello sviluppo del sistema vascolare, non interrotto dalle grandi ferite e dalle continue deviazioni a cui il succedersi dei tagli lo costringe, potrebbero inoltre coincidere con un miglior funzionamento, una migliore difesa dalle infezioni, una migliore protezione interna del tralcio. Quelle qui commentate sono ipotesi plausibili, ma soltanto ipotesi, sulle quali merita indagare, nella convinzione che solo un insieme combinato di interventi, quelli qui accennati e altri, riuscirà ad avere ragione dell’esca.
Potatura secca della vite, tagliare solo legno giovane
La struttura permanente della vite è costituita dal tronco o fusto e dall’apparato radicale. L’efficienza e la salute di questi organi sta alla base di un corretto funzionamento della pianta.
Consuetudini di potatura
Le forme di allevamento a controspalliera maggiormente utilizzate negli ultimi anni sono due: il Guyot e il cordone speronato. Esamineremo di seguito gli interventi di potatura consueti e quelli del metodo Simonit&Sirch - Preparatori d’uva.
Guyot
La potatura invernale del Guyot consiste nel mantenere un tralcio per la produzione, detto anche capo a frutto, e uno sperone più in basso per il rinnovo. Nella pratica si eseguono i seguenti tagli: il cosiddetto «taglio del passato», con il quale si asporta il capo a frutto che ha prodotto l’anno precedente, e il «taglio del presente», con il quale si scelgono tra i due tralci che si sono sviluppati dallo sperone, il nuovo capo a frutto e il nuovo sperone. Operando in questo modo, anno dopo anno, si formerà alla fine del fusto un ingrossamento spesso denominato «testa di salice» che dovrebbe generare continuamente germogli. L’obiettivo del potatore è quello di mantenere la «testa» 15-20 cm sotto il filo, cioè a una distanza utile per agevolare la piegatura del capo a frutto, operando un continuo rinnovo in questa zona senza dover eseguire grossi tagli di ritorno. Tuttavia nel corso degli anni si assiste allo sviluppo di branche a partire dalla testa e al progressivo innalzamento del fusto, con la conseguente difficoltà di piegatura e perdita di gemme fruttifere. A seguito di ferite e piaghe che annualmente vengono prodotte sulla testa di salice si verifica una chiusura progressiva e costante dei flussi linfatici che servono ad alimentare il capo a frutto e lo sperone. Ne consegue una riduzione di germogliamento sulla testa e quindi la difficoltà per il futuro di avere tralci utili per il rinnovo. Per evitare l’invecchiamento e favorire il ringiovanimento della pianta la soluzione – insegnata in scuole e università e indicata in letteratura – è quella del «taglio di ritorno» o della «capitozzatura». Questa tecnica consiglia di lasciare uno sperone più in basso della testa, proveniente dal fusto, sul quale ritornare con l’obiettivo di riposizionare più in basso la nuova testa di salice. Così facendo, le frequenti capitozzature provocano al fusto delle piaghe di notevoli dimensioni, con la perdita di importanti parti di legno e con la compromissione del sistema di trasporto linfatico.
Cordone speronato
La forma di allevamento a cordone speronato è costituita da un fusto verticale che si prolunga orizzontalmente, sul quale sono inseriti alla distanza di 15-30 cm, i «punti vegetativi». I punti vegetativi sono i centri produttivi dove sono posizionati gli speroni, a 1 o 2 gemme franche, che vengono annualmente rinnovati per la produzione. Il numero dei punti vegetativi varia in funzione del sesto d’impianto e degli obiettivi enologici, aziendali, ambientali e genetici. La potatura tradizionale insegna a mantenere gli speroni il più possibile vicini al cordone, evitando lo sviluppo di branche. Nel caso in cui questo accada, si terrà un germoglio alla base della branca che l’anno successivo verrà speronato con l’eliminazione della branca stessa. Si eseguono, in pratica, i «tagli di ritorno» come sul Guyot. Queste operazioni, compiute ripetutamente negli anni, determinano sul cordone orizzontale numerose piaghe, che disseccandosi rendono difficoltosa l’emissione di germogli e favoriscono la perdita di punti vegetativi, con conseguente calo di produttività. Ciò determina soventi espianti di vigneti non più suffi cientemente produttivi, ma ancora in giovane età.
Metodo Simonit&Sirch Preparatori d’uva
Il metodo Simonit&Sirch – Preparatori d’uva è costituito da una serie di procedimenti modulari che, se applicati con continuità negli anni, assecondano un accrescimento controllato delle singole piante, effettuando tagli solo su legno giovane di uno o due anni di età. Questo nuovo approccio, ispirato dalla potatura dell’alberello, permette alla pianta di generare una struttura crescente che caratterizzerà la forma di allevamento. In particolare su cordone speronato si sviluppa un fusto permanente (canale principale) con varie diramazioni in funzione del numero dei punti vegetativi (collettori secondari). Questi collettori si accrescono verso l’alto in maniera controllata come le branche di un alberello. Su Guyot, avendo come limite superiore il filo di piegatura, si dovrà sviluppare una struttura parallela al filo di piegatura stesso, che assumerà una forma caratteristica simile a una «T» dovuta alla ramificazione del fusto in due direzioni opposte. Il metodo non può prescindere da una tempestiva e mirata potatura verde. In questa fase è fondamentale lasciare solo i germogli in posizione utile allo sviluppo sopra citato. Così facendo si riduce anche il numero dei tagli in potatura secca.
Potatura del Guyot
Nella costruzione della pianta, una delle parti fondamentali è costituita dalla formazione del fusto. Il fusto rende possibile la continuità dei vasi tra le radici e la parte aerea e viceversa. In questa fase è importante la ricerca della linearità per evitare strozzature o impedimenti che ostacolino un efficiente flusso linfatico. È quindi fondamentale partire con un approccio metodico fin dalla prima potatura. Durante il primo anno di vegetazione dalla barbatella partiranno diversi germogli. Con la potatura verde si scelgono i due germogli più verticali. Con la potatura invernale solitamente si sceglie il tralcio più verticale che verrà speronato a una gemma franca. Nel secondo anno di vegetazione dalla barbatella e dallo sperone partiranno diversi germogli. Con la potatura verde si terranno solamente i due germogli provenienti dallo sperone, garantendo così la continuità nei vasi di trasporto. In inverno, dopo la caduta delle foglie, avremo quindi due tralci. Tra questi due si sceglierà il tralcio più verticale, che verrà tagliato al filo di piegatura. Al germogliamento del terzo anno di vegetazione si imposterà la potatura verde lasciando quattro germogli che partono dal fusto appena costruito. Il più importante è quello posizionato a 20-25 cm sotto il filo di piegatura. In potatura secca si decide l’altezza definitiva del fusto, tagliando in corrispondenza del tralcio più importante (20-25 cm sotto il filo) che diventerà capo a frutto. Questo tralcio verrà piegato avendo l’accortezza di effettuare una piegatura «a chiudere», cioè piegandolo dalla parte opposta al lato di crescita. Volutamente, in questa fase, si imposta il Guyot senza sperone sotto il capo a frutto, evitando così nella prossima potatura il taglio su legno di 3 anni. Come vedremo, d’ora in poi, si eseguiranno solamente tagli su legno di 1 o 2 anni di età.
Apertura dei canali orizzontali.
Al germogliamento del quarto anno di vegetazione, grazie all’eff etto della piegatura a chiudere, si riduce l’acrotonia (cioè il germogliamento delle gemme più lontane rispetto all’inserzione del tralcio sul tronco) della pianta aumentando la probabilità di emissione di germogli dalle gemme basali. Questi germogli sono necessari per iniziare lo sviluppo dei due canali orizzontali. Solamente quando avremo la presenza di due tralci opposti inseriti sullo stesso livello alla base del capo a frutto, il Guyot verrà impostato con lo sperone a una gemma franca da un lato e il capo a frutto dall’altro. Diversamente si continuerà la piegatura a chiudere il primo tralcio utile senza impostare lo sperone. All’inizio del quinto anno di vegetazione si scelgono i germogli per continuare lo sviluppo dei due canali orizzontali. Nella pratica si terranno i due dello sperone e i primi due alla base del capo a frutto. Il numero dei germogli da lasciare sul capo a frutto varierà in funzione degli obiettivi aziendali, ambientali, genetici, ecc. Questa operazione, ripetuta anno dopo anno, consentirà il consolidamento e lo sviluppo controllato dei due canali. L’accrescimento dei canali orizzontali, nel tempo, darà la possibilità di passare anche al Guyot bilaterale.
Potatura del cordone speronato
Nella costruzione della pianta valgono esattamente le stesse premesse sottolineate per la potatura del Guyot, come pure in questo caso è fondamentale partire con un approccio metodico fin dalla prima potatura. Durante il primo anno di vegetazione dalla barbatella partiranno diversi germogli. Con la potatura verde si scelgono i due germogli più verticali. Con la potatura invernale solitamente si sceglie il tralcio più verticale che verrà speronato ad una gemma franca.
Nel secondo anno di vegetazione dalla barbatella e dallo sperone partiranno diversi germogli. Con la potatura verde si tengono solamente i due germogli provenienti dallo sperone, garantendo così la continuità nei vasi di trasporto. In inverno, dopo la caduta delle foglie, avremo quindi due tralci. Tra questi due si sceglie il tralcio più verticale che verrà tagliato al filo di piegatura. Al germogliamento del terzo anno di vegetazione si imposta la potatura verde lasciando quattro germogli che partono dal fusto appena costruito. Il più importante è quello posizionato attorno ai 25 cm sotto il filo di piegatura.
In potatura secca si sceglie il tralcio in posizione utile (circa 25 cm sotto il filo), che verrà piegato avendo l’accortezza di effettuare una piegatura «a chiudere», cioè piegandolo dalla parte opposta al lato di crescita. Come già ricordato la piegatura a chiudere ha l’effetto di ridurre l’acrotonia e ottenere un germogliamento più uniforme. Durante la piegatura si cercherà di posizionare la prima gemma rivolta verso l’alto vicino al tutore per non perdere spazio nell’impostazione dei futuri speroni.
Impostazione dei collettori secondari
All’inizio del quarto anno di vegetazione sul cordone orizzontale si tengono i germogli che partono dalle gemme rivolte verso l’alto, più una riserva sul fusto. Con la potatura invernale i tralci verticali verranno speronati a una gemma franca, fi ssando la posizione dei futuri collettori secondari. Come vedremo, d’ora in poi si eseguiranno solamente tagli su legno di 1 o 2 anni. Durante il quinto anno di vegetazione, con la potatura verde si scelgono i germogli da lasciare per continuare lo sviluppo dei collettori secondari, eliminando i germogli che provengono dal legno vecchio.
Nella pratica si terranno solamente i due germogli provenienti dagli speroni. Con la potatura invernale si rinnova lo sperone potando sul tralcio inserito in posizione più verticale. Questa operazione, ripetuta anno dopo anno, consentirà il consolidamento e lo sviluppo controllato dei collettori secondari. I risultati ottenuti dopo vent’anni di applicazione del nostro metodo sono visibili.
Recupero dei vecchi vigneti
Il metodo può essere introdotto nei vigneti di qualsiasi età allevati a Guyot e a cordone speronato potati in maniera «tradizionale». Preventivamente è necessario verificare lo stato in cui versano mediamente le piante del vigneto per decidere come operare. Si eseguirà dunque un controllo della «vitalità» dei fusti per cercare di prevedere la risposta vegetativa nelle posizioni «cruciali» per le diverse forme di allevamento. Per i vigneti a Guyot si parte con l’individuazione della posizione della «testa» sul fusto. Se sulla testa non ci sono importanti segni di necrosi che rendono impossibile lo sviluppo di nuovi germogli, allora si imposterà lo sviluppo di 2 canali. Per i vigneti a cordone speronato si parte con l’individuazione delle migliori posizioni per il recupero dei punti vegetativi. Se in corrispondenza di tali punti non ci sono importanti necrosi, si imposterà lo sviluppo dei «collettori secondari». Nel caso in cui le «teste» su Guyot e i punti vegetativi sui cordoni speronati siano irrimediabilmente compromessi, senza possibilità di recupero, si dovrà effettuare la ricostituzione ex novo del fusto.
Rivitalizzare la «testa di salice» del Guyot
In gran parte delle situazioni da recuperare è possibile individuare la posizione ideale «di testa» dove costruire i due canali orizzontali. Tuttavia spesso è difficile realizzare subito il recupero, perché in questa posizione non ci sono germogli utili o, nei casi più fortunati, c’è un solo germoglio da poter utilizzare come capo a frutto. È quindi necessario ripristinare la vitalità di queste zone. Fondamentale è il ruolo della piegatura a chiudere del capo a frutto per migliorare il germogliamento delle gemme in questo punto. L’obiettivo è di stimolare lo sviluppo di tralci in posizione corretta, da poter scegliere come sperone e capo a frutto per iniziare la formazione dei due canali. Nel caso in cui si decida di ricostituire il fusto, si deve allevare un pollone alla base del fusto appena sopra il punto d’innesto. Dopodiché il pollone sarà impostato secondo il metodo come se fosse una nuova pianta, mantenendo nel contempo la produzione della pianta da sostituire.
Rivitalizzare i punti vegetativi del cordone speronato
Il principale problema dei cordoni speronati potati in modo «tradizionale» è la perdita di punti vegetativi. La causa principale, come abbiamo visto, sta nei ripetuti tagli, e relative piaghe, presenti sui punti stessi e operati per non consentire l’allontanamento degli speroni dal cordone principale. Recuperare un cordone speronato significa dover recuperare i punti vegetativi persi. Il recupero dei «collettori secondari» o punti vegetativi avviene attraverso una potatura invernale che elimini tutti i tralci superflui e un tempestivo intervento di scacchiatura. L’eliminazione dei tralci superflui, cioè quelli che stanno al di fuori di un’ordinata distribuzione nello spazio del cordone orizzontale, consente la ripartizione più equilibrata degli sforzi della pianta, che si concentrano sugli speroni lasciati dal potatore. Importante è l’eliminazione degli speroni rivolti verso il basso. Questo lavoro determina un migliore e uniforme germogliamento delle posizioni dei punti vegetativi prescelti. Un altro importante aiuto al consolidamento dei punti vegetativi è fornito da una tempestiva scacchiatura, che concentri l’energia data dalle sostanze di riserva nella produzione di germogli solo nei punti definiti durante la potatura invernale. Ripetuti e consecutivi interventi di questo genere consentono nella maggior parte dei casi recuperi insperati. Nel caso in cui si decida di effettuare la ricostituzione del fusto, come nel caso del Guyot, si deve allevare un pollone alla base del fusto appena sopra il punto d’innesto e poi seguire il percorso di formazione di un cordone speronato come se fosse una pianta giovane.
Formazione del personale aziendale
Riteniamo che per ottenere un buon risultato in termini di qualità del lavoro ed efficacia di esecuzione siano necessari almeno tre anni di applicazione del metodo. L’iter di formazione prevede un corso teorico e pratico sull’applicazione del metodo all’inizio di ogni annata agraria a tutto il personale aziendale. Durante le potature viene effettuato un tutoraggio continuo ai potatori per correggere gli errori commessi. I responsabili aziendali vengono coinvolti attivamente nella fase di tutoraggio, con l’obiettivo di diventare il futuro riferimento aziendale nella gestione della potatura secondo il metodo. Benché possa sembrare complicato, la realizzazione di un taglio ragionato e rispettoso è alla portata di tutte le persone che hanno una sufficiente sensibilità pratica. La formazione del personale e le ore dedicate al lavoro in vigneto per raggiungere una buona conoscenza sono un importante investimento per ridurre la mortalità dei ceppi e allungare la vita delle piante.
Le Scuole di potatura
Nascono
dalla necessità di insegnare – o meglio reinsegnare – a potare la vite. Ci
siamo trovati di fronte al problema di formare le maestranze addette alla
potatura in tutte le aziende che seguivamo. Esperienza che ci ha portato, in
breve, a varare – nel 2008 – il progetto no profit delle Scuole di potatura
della vite teso a valorizzare la figura del potatore per ridare dignità a
un’arte antica, a un mestiere che negli ultimi 30 anni era stato completamente
dimenticato. Complice la meccanizzazione, le tecniche di potatura si sono fatte
molto invasive, infliggendo alle piante ferite a cui non sono in grado di
reagire. Non esistono più potatori che si soffermano davanti a ogni vite per
intervenire secondo le sue esigenze specifiche. Noi abbiamo lavorato e
sperimentato per trasferire la loro tradizione all’oggi, cambiando l’approccio
alla vite. Da qui la necessità di scuole di formazione territoriali permanenti.
Abbiamo ideato le prime Scuole di potatura della vite, in via sperimentale, che
si sono tenute alla Facoltà di scienze gastronomiche di Pollenzo (Bra, Cuneo)
in Piemonte e alla Fondazione Enzo Morganti presso l’Agricola San Felice a
Castelnuovo Berar-denga in Chianti Classico (Siena). I risultati sono an-dati
oltre ogni rosea previ-sione e, quindi, abbiamo impostato altre Scuole di
potatura in altre regioni. L’idea delle Scuole ha anche una notevole valenza
ambientale: il paesaggio viticolo viene infatti rispettato e curato nella sua
specificità, lontano dall’omologazione delle potature meccaniche, che rendono
tutti uguali i vigneti italiani, non rispettando le tipologie di coltivazione
tradizionali, diverse da regione a regione. In più la Scuola, oltre a
rivalutare un mestiere, potrebbe creare uno sbocco lavorativo per i giovani nel
campo dei lavori eco-verdi.
Articolo tratto da : L’Informatore Agrario numero 36/2009 SPECIALE Potatura invernale della vite